Parola e territorio
Maurizio Montanari
‘Che succede in Italia?’, mi domanda un collega elvetico. Siete diventati razzisti e odiate l’Europa? Gli basterebbe dare un’occhiata storica e clinica per capire che non si tratta dello spirare di un nuovo vento d’odio che spazza la penisola e produce torsioni persecutorie verso l’odiata Bruxelles abitata da torvi tecnocrati, quanto dell’affiorare di un’ antico linguaggio oggi di nuovo parlato. In Italia, e in parte del vecchio continente. E’ infatti difficile pensare che siano le parole di un ministro, ancorché gravi e incendiarie, a generare ex novo un sentimento di intolleranza verso chi chiede accoglienza, in una nazione che nel non lontano 1938 dava alle stampe una rivista come La difesa della razza. L’Ungheria di Orban, l’Austria di Kurz, il gruppo dei paesi di Visegrad che fa dell’euroscetticismo il plinto delle proprie fondamenta: li governano élites politiche non sganciate da movimenti popolari di chiara base xenofoba e avverse all’Europa.
La nascita dell’Europa unita e il conio della moneta unica hanno creato un linguaggio unificante, colmo di vocaboli economici, dimenticando forse di occuparsi di una riteritorrializzazione delle lingue e dei bisogni particolari dei singoli popoli, permettendo in tal modo neo formazioni politiche strutturate su fondamenta di odio paranoico munitesi di radici posticce (in Italia sono state a tal scopo costruire artificiali origini celtiche), di guadagnare consensi edificando un nemico, Bruxelles, luogo nel quale si anniderebbe l’origine di ogni problema particolare. Ha contribuito non poco a creare questa situazione l’aver pensato di poter equiparare ogni differenza sostanziale, ogni richiesta, ogni bisogno, uno per uno, secondo standard classificatori di ordine economico generalista. Una parte del corpo politico, incapace dell’ascolto singolare perché cristallizzato in una posizione di sapere supposto, non è riuscito forse a raccogliere le istanze particolari venute da ogni parte d’Europa, portando richieste inascoltate a fondersi un’ unica e generica richiesta di ‘cambiamento’, intercettata furbescamante ed artatamente dal fronte populista, non a caso dotato di una sola risposta totipotente capace di tacitare ogni interrogativo: il migrante e gli euro tecnocrati come colpevoli designati. In tal modo la ricetta dei populisti promette di superare ogni questione interna alle nazioni paranoicizzando la questione, definendo un nemico interno, Bruxelles, ed uno esterno, il migrante. Gli appartenenti a queste neo formazioni piu’ estreme interpretano le parole incendiare dei loro capi come ordini da eseguire, una lex che va al di la della legge degli uomini e delle regole Europee . Vivono gli incitamenti violenti come prova del fatto che l’odio che alberga nei loro animi altro non è che un mattone di un edificio più ampio nel quale essere finalmente accolti. A questo dobbiamo ascrivere il crescendo di azioni violente (spari, percosse, agguati, intimidazioni) dirette verso i migranti che hanno portato il presidente Mattarella a parlare di Far West.
L’odio che questi autonominati difensori dell’‘Europa bianca’ nutrono verso chi proviene da altre culture, non è stato infuso da una qualche cattivo pensatore. Essi hanno invece scorto in un ordine simbolico, oggi sdoganato a livello Europeo, l’autorizzazione a far fuoriuscire dal proprio animo pulsioni virulente preesistenti, costrette per anni a vivere in sordina per il timore della reprimenda sociale, o della galera. Tenere l’Altro che emigra sotto lo scacco dell’angoscia, colpendone a caso alcuni membri, è ciò che fanno le reclute delle milizie xenofobe europee.
Era il dicembre 2011 quando Gianluca Casseri uccideva brutalmente due uomini nativi del Senegal, per poi si togliersi la vita braccato dalle forze dell’ordine. L’obiettivo di quell’uomo erano i “neri”, oggetto di odio, il migrante come entità indistinta, un Altro da annientare falcidiando alcuni dei suoi appartenenti. Saverio Ferrari, esperto in tema di nuove destre, scrisse: “Attenzione perché è pericolosissimo derubricare il gesto di Casseri a follia ( ) così rischiamo di far cadere gli ultimi anticorpi alla deriva della destra xenofoba”. Casseri era probabilmente sano di mente così come lo era Luca Traini, il quale, nel febbraio 2018, scelse di mettere in pratica una personale vendetta, scaricando un’arma da fuoco verso alcuni immigrati ai quali “dare un segnale”. Anche in questo caso non un singolo migrante, ma l’Altro extraeuropeo. Hans Breivik, prima di compiere la strage di Utoya, viveva nella delirante convinzione di essere depositario di un qualche ruolo messianico di pulizia dell’Europa da ogni infiltrazione barbaro islamica.
Per tutte queste formazioni, e per i loro appartenenti, Bruxelles è il Grande Architetto che programma le invasioni e mira a fra fallire economicamente le nazioni più deboli.
Questo è il rischio insito nell’uso spregiudicato delle parole incendiarie oggi in gran voga tra i politici nazionalisti di Germania, Italia, Brasile, Ungheria. Proprio per questo è fondamentale che ciascuno dal proprio posto, secondo il proprio sapere, la propria professione, dia forza alla dialettica e al confronto che solo la parola non omologata può dare. Perché alto è il rischio di svegliare mostri dormienti nelle nostre città. I quali, poi, non accettano di essere rimessi a dormire, come avvenne per il Golem, ma continuano nella loro opera distruttiva.
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Educare all’amore per l’Europa?
Cristiana Santini
La mia professoressa di Italiano del liceo, negli anni Ottanta, ci parlava della Comunità Europea come di una evoluzione civile dei paesi, dei popoli. Sembrava l’inizio di una nuova era, fatta di pace, persone emancipate, corrette, positive. Era impegnata nel suo compito, noi annoiati. Ci parlava di qualcosa di lontano, ideale, ci giudicava se non avevamo il suo stesso entusiasmo. Solo gli studenti che si fingevano coinvolti da questa nuova era ottenevano i suoi favori, perché considerati più colti ed evoluti. Noi che ci entusiasmavamo di più per un bacio o uno sguardo, sopraffatti dal corpo, eravamo oggetto di scandalo o disprezzo per la nostra superficialità.
Oggi, ripensando a quel mio primo contatto con l’idea della Comunità Europea, mi chiedo come, e se, si possa insegnare l’amore per l’Europa e se abbia senso.
Scrivo questo testo dal Brasile, dove mi trovo per una ricerca proprio sull’esperienza educativa di un missionario molto particolare, i cui scritti mi sono capitati fra le mani e mi hanno colpito. Si chiamava Don Paolo Tonucci e, nel periodo della dittatura militare, si impegnò molto affinché i poveri e gli emarginati avessero una coscienza civile, istruzione, ma soprattutto consapevolezza di se stessi, del proprio valore umano attraverso il racconto e la parola. Partendo dalle parole di questo uomo che inizia la sua prima lettera agli amici in Italia scrivendo: “avevo un sogno molto bello ma completamente sbagliato”, mi chiedo se anche il sogno dell’Europa sia molto bello ma sbagliato, soprattutto nell’idea che possa essere creata dall’alto piuttosto che dal basso, ossia che si possa imporre ideologicamente senza una cultura sociale, umana che la sostenga. Questo missionario arrivò armato di sapere, di buone intenzioni ma ben presto cambiò posizione, come scrive, si mise in una posizione di alunno e seppe farsi insegnare dalla diversità del popolo che pretendeva di aiutare. Mi ha colpito la testimonianza del sindaco di quel periodo, al suo funerale. Questi era un militare, suo acerrimo nemico perché lottavano su fronti diversi, Don Paolo in difesa dei poveri, il Sindaco in difesa della dittatura e dei privilegi dei ricchi, e disse: “vite come quella di Paolo, fanno l’esistenza umana più bella e infinita. Ci ricordano che in un mondo profondamente segnato dall’egoismo, dallo spirito competitivo che non riconosce il prossimo, dal predominio del mercato e della merce, possono ancora nascere persone che si lasciano inquietare dalla miseria, dalla fame, dall’esclusione di milioni di esseri umani dai benefici dello sviluppo. Vite come quella di Padre Paolo sono eterne, perché di lui si parlerà sempre, e sempre si dirà che seppe amare e che sapendo amare fu felice. E essendo felice fu umano.” Forse non solo egli cambiò la propria posizione ma seppe produrre cambiamenti, veri insegnamenti. Egli pensava di dover fare spazio dentro di sé, essere mancante, diremmo noi, affinché l’altro potesse rendere produttiva la propria mancanza, affinché si creasse una coscienza umana, un soggetto.
La mia insegnante era di altra natura, predicava bene e razzolava male, parlava di pace e rispetto delle diversità ma non riusciva a sopportare che si avessero passioni diverse dalle sue, non considerava la contingenza fisica della nostra età ma soprattutto la sua era una passione intellettuale, senza amore perché senza corpo, quel corpo che non sopportava nei suoi allievi. Nessuno di noi è riuscito a provare amore per l’Europa, neanche quelli che la seguivano.
Perché ci sia insegnamento, ci vuole qualcuno che rinunci a essere confermato dall’altro, a essere riconosciuto e garantito, qualcuno che si sostenga sul proprio desiderio, la cui causa sia al di là della domanda d’amore, verso un orizzonte che apra spazi per altri desideri. Ci vogliono educatori che sappiano e-ducere, estrarre e non riempire, che facciano buchi nel pieno di un sapere ottuso e noioso, auto celebrativo che ormai si trova nelle scuole. Un sistema scolastico che non riconosce il soggetto non consente di fare esperienza della diversità, non prepara, non favorisce le esperienze relazionali, unicamente orientate su una logica competitiva ed esclusiva. Inevitabilmente prepara cittadini incapaci di cogliere il valore della cooperazione, della collaborazione, incapaci di collaborare, di lavorare, vivere nella differenza. Un futuro difficile per l’Europa, se continueremo a crescere giovani a cui chiediamo di essere poco umani e quindi poco capaci di amare e quindi poco felici.
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L’Europa che verrà
Giuliana Zani
Gianfranco Pasquino, studioso e importante uomo politico italiano che abbiamo avuto modo di ascoltare in diverse occasioni, afferma in un’intervista1 che la crisi di fiducia nei confronti delle istituzioni europee dipende, tra l’altro, dalla mediocrità degli attuali uomini politici dei vari paesi, deputati a far funzionare anche il sistema Europa: tutt’altra caratura rispetto a quella dei padri fondatori.
Da un pensiero politico debole risulta un indebolimento delle istituzioni, anche quelle europee, nei termini di credibilità ed efficienza. Sono deboli, private di un pensiero politico preciso e ‘sapiente’, nei confronti dei poteri economici (la Grecia svenduta ad aziende tedesche, ad esempio), incapaci di far fronte alla crisi con adeguate misure e ancor meno di rispondere all’angoscia che, come scrive E. Laurent, è proprio ciò con cui abbiamo a che fare attualmente2. La mediocrità media degli attuali governanti è proporzionale al volume delle voci con le quali proclamano la necessità di difendere gli interessi nazionali contro le ‘regole imposte dai burocrati’ dell’Europa. Indebolirne la rappresentatività e la fiducia sembra funzionare in termini di guadagni in consenso. I movimenti populisti si fondano sulla delegittimazione dei saperi, si entusiasmano nel mostrare l’impotenza di un pensiero politico ‘colto’. Che d’altra parte, come si diceva, non è più il discrimine per scegliere i propri rappresentanti politici.
In Italia chi contrasta l’idea europeista in modo più sguaiato cavalca “il problema” dell’immigrazione: ‘l’Europa ci ha lasciati soli’ ad affrontare questa ‘minaccia’ alla sicurezza, al lavoro, alle risorse’…una vera campagna che a sua volta cavalca le angosce e le paure reali. L’Altro che gode è continuamente evocato e alimentato: godono di noi, a nostre spese, privandoci del nostro, sia gli immigrati, il nemico interno, che gli altri stati europei, quello esterno.
I nostri attuali governanti hanno fatto mostra di forza di fronte alle regole europee rispetto alla recente manovra economica. Hanno sbeffeggiato, esultato, per poi accettare le regole e correggere drasticamente i conti. Il che non ha impedito un aumento dei consensi nei sondaggi. Hanno fatto ‘come se’ sfidassero l’Europa, hanno denigrato e ridicolizzato le sue istituzioni: una parata, un’esibizione di virilità. In Italia ha già funzionato, in passato.
Anche per i fatti di politica interna prevale un atteggiamento di denigrazione rispetto alle istituzioni (vedi l’approvazione dell’ultima manovra economica senza discussione in Parlamento). Emma Bonino lo ha detto così: mai come oggi le istituzioni democratiche sono state umiliate. E rispetto alle ‘ragioni umanitarie’: le navi che raccolgono i richiedenti asilo devono restare in mare, un’altra parata a favore di quei cittadini (sempre più) che hanno finito per crederci davvero che gli immigrati costituiscono una minaccia alla sicurezza e all’economia. Facendo leva sulle paure reali, come la precarietà delle economie che fa sì che facilmente si possa perdere il proprio posto nel sistema e diventarne lo scarto, le si polarizza su oggetti reali. Gli immigrati non sono più il sintomo (di ciò che non funziona nel sistema capitalistico), che divide le coscienze, oggi incarnano ciò di cui non vogliamo sapere niente. Nessuna divisione soggettiva, l’inconscio non è altro che un processo neuronale: la politica della paura propone l’illusione dell’identità forte come soluzione all’angoscia. Un centro vuoto rifiutato che, come ricorda Lacan, se espulso dal simbolico torna nel reale3, anche sotto forma di violenza.
Le prossime elezioni europee possono essere l’occasione per arginare questa deriva così come potrebbero decretare l’inizio di un periodo buio. Sapremo mostrare che l’alterità non la si espelle dal proprio centro, sapremo suggerire vie alternative per rispondere all’angoscia e mostrare che dietro la parata c’è il nulla? Europa alle origini e nel mito, è femminile. Saprà continuare a esserlo?
1 http://www.confronti.net/confronti/2017/02/europa. Vedi anche G. Pasquino, L’Europa in trenta lezioni, Utet, Torino 2017.
2 É. Laurent, Il rovescio della biopolitica, Alpes, Roma 2017, p. 153.
3 J. Lacan, Il Seminario, Libro III, Le psicosi, Einaudi, Torino 2010, p. 16.Indirizzo: Aula Magna dell’Università Statale via Festa del Perdono 7, Milano
Traduzione simultanea in inglese, francese, spagnolo e italiano.
Data: Sabato 16 febbraio 2019
Orario: 9.00h -18.30h
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